HOME

 

 CONTATTI

 CHI SIAMO

Quando ti siedi davanti al computer e devi raccontare un’avventura fantastica, non sai mai con cosa partire. Sono troppe le cose che mi hanno stupito, nonostante la mia abitudine a viaggiare tra popoli e Paesi diversi. Così seguiro’ una linea storica per raccontare...

Tre Giorni tra gli Indios

   di Giancarlo Frecchiami  foto di Victor Hart

Durante la nostra permanenza in Porto Seguro (BA-a sud di Bahia) siamo stati invitati dal Segretario del Turismo a produrre per loro alcune foto pubblicitarie. Abbiamo accettato con entusiasmo, anche perche’ saremmo stati ospiti della riserva Jaqueira, dove vivono in condizioni quasi originali gli ultimi Indios della Tribù Pataxo’, la più grande del Brasile (un permesso difficilissimo da ottenere). Con tanta curiosità mista ad un poco di paura, ci siamo addentrati su un fuoristrada in viottoli sterrati nel Mato Atlantico (una vera foresta che però non va confusa con la foresta tropicale che sta molto piu’ all’interno).

Eravamo in sette, quattro adulti e tre bambini, ammassati come i bagagli. Il caldo e l’umidità’ ci assediavano, insieme alle zanzare che collaboravano con le grandi buche della strada per rendere un poco piu’ difficile la vita. Ma i posti erano fantastici e così il fotografo Victor Hart, coadiuvato dalla moglie Claudia e dalla curiosità dei tre figli, Mario, Victor jr. ed Igor ci siamo fermati spesso per fotografare. Di Giovanni, (italo brasiliano, ma truccatore Gay e scemo del villaggio), parlerò più tardi.

Comunque siamo arrivati presso un portale ed accolti dal Capo Aruã ed un piccolo gruppo di Indios che si erano dipinti il corpo secondo le tradizioni e vestivano lunghe gonne di foglie di piaçava (una fibra tipica della regione). Un vero spettacolo, un sogno ad occhi aperti che voleva ricordare l’incontro con Pedro Alvares Cabral che incontro’ per primo questo popolo 504 anni fa. Solo che allora la Tribù contava circa 30.000 Indios, ed oggi sono ridotti a non più di 150 persone, in parte perché vennero sterminati dai colonizzatori, in parte perché non accettano la civilizzazione ed un modo diverso per vivere. Parlano una lingua locale e solo alcuni conoscono il portoghese, per i necessari rapporti con il mondo esterno.

Ma e’ la loro arte, la loro cultura. I bambini e le donne vengono pitturati in modo diverso, secondo le tradizioni di cui sono orgogliosi. Io credo che la cosa piu’ difficile sia spiegare a questa gente cosa sia lo stress. Sono così lontani dal concetto che non mi sento in grado di spiegarlo. Amano i telefonini (c’e’ persino un’antenna Sip), ma odiano ogni altro sviluppo.
Le piroghe scavate nei tronchi ti danno emozioni incredibili, anche perché vieni affiancato da piccoli(?) alligatori che, visti da vicino con tutti quei denti, non sono proprio come nei documentari della Tv. Non abbiamo incontrato piranhas (che sono più a nord), ma un anaconda di 12 metri fa davvero impressione.
Ah... le armi. Qui usano tre tipi di armi, per la caccia e per difesa: la cerbottana, con piccole frecce intrise nel veleno (curaro), poi l’arco e le frecce, ed infine una cosa che sta’ a metà tra il macete e l’accetta. Sono abilissimi nell’usarle e ci hanno invitato a provare... un vero disastro. Io e Victor fumiamo troppo per aver forza nei polmoni (cerbottana), l’arco e’ durissimo e l’unica cosa e’ il (chiamiamolo macete).
L’odore penetrante della foresta non si puo’ descrivere, ma l’aria sembra diversa, anche diversa da se stessa in ogni momento, ma ci si adatta rapidamente a questo clima (insetti a parte). Qui si fuma una pipa grande, caricata di erbe e... nel dialetto locale si chiama davvero pipa, come in italiano. Poi abbiamo avuto l’onore di essere ospiti dello stregone locale (una cosa riservata a pochissimi, un grande onore, ma niente foto). Nella “casa magica” sono conservate molte erbe, denti di animali, strumenti e cose che risalgono ai padri dei padri... e’ una cosa straordinaria, più simile ad una clinica che ad un museo.
Naturalmente Giovanni ha mostrato tutta la sua stupidità ingerendo il fumo delle varie erbe e tossendo fin quasi alla morte (come truccatore e’ bravissimo, come persona e’ pietoso)
Le curiosità sono tantissime, per esempio esiste una enorme capanna dove vivono tutti i solteiros (maschi e femmine non sposati), ed e’ chiamata quigeme (gemere in italiano). Gli Indios sposati invece possiedono una capanna propria per ogni famiglia. Ma tutto questo risale alle imposizioni dei conquistatori portoghesi ed al tentativo dei missionari cattolici di imporre leggi che in qualche modo li hanno schiavizzati. Da questo (quigeme, qui si geme).
Abbiamo visto che tutti gli Indios erano dipinti e ci hanno invitato ad essere dipinti come loro... una cosa dal significato importante, cioè la piena accettazione del popolo nel loro mondo. Soprattutto in quel giorno di festa, per un matrimonio. A proposito, come inizia il fidanzamento e’ davvero curioso... un ragazzo vede una bella ragazza e le tira un piccolo sasso. Se a lei piace il ragazzo, risponde tirando un piccolo sasso... e continua cosi’, più sassi arrivano, meglio e’. Una dichiarazione di pietra!!! Ma non finisce qui, quando sono (noi diremmo fidanzati), il promesso sposo deve dimostrare la sua capacità di trarre in salvo la sposa in caso di pericolo. Cosi si carica in spalla la ragazza e deve correre per tre chilometri prima di ottenere il permesso di sposarsi.
Ma le pitture (che ci hanno quasi imposto) possiedono anche un significato magico e religioso. Sono di due tipi, quelle che vanno via soltanto lavandosi e quelle più durature, non proprio tatuaggi, ma con le erbe di urucum , carvão e jenipapo, non vanno via cosi’ presto. Poi ci sono i nomi imposti. Io sono stato chiamato “uomo sapiente” e Victor “grande guerriero”. Mentre Giovanni si e’ beccato un bel “bebedo do mar” perché invece di assaggiarlo, si e’ proprio bevuto un forte liquore locale (ubriaco fradicio). Comunque ci hanno dipinti per l’occasione e solo adesso (15 giorni) i disegni stanno andando via.
Poi i pasti, fatti in modo davvero particolare, pesce arrosto avvolto con gli aromi e farinha de mandioca in grandi foglie di banana e posto in un buco sotto la terra. Sopra a questo buco ricoperto viene messo il fuoco. Il risultato e’ strano ma buonissimo, soprattutto se accompagnato da Cauã, uma bibita molto alcoolica che nasce dalla mandioca fermentata.

Il terzo ed ultimo giorno ci hanno preparato uma sorpresa. Dopo la festa degli uccelli (una danza straordinariamente sexy e colorata), hanno cantato il “Padre Nostro (cattolico)” in lingua locale. Non so come spiegarlo, ma mi viene ancora la pelle d’oca ogni volta che ci penso. Essere considerati “amici” da queste persone così lontane dal nostro mondo, ma così sincere, ti da una carica straordinaria, emozioni che pensavi perdute... qualche cosa di davvero bello !!!

Giancarlo Frecchiami

Foto di : Victor Hart & Giancarlo Frecchiami

PROMOBRASIL