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Gauchos   di Giancarlo Frecchiami  foto di Victor Hart

Quando il signor Abramo Eberle, di Monte Magré (Vicenza), decise di portar la sua famiglia in un posto più tranquillo rispetto ad un’Italia povera ed appena unificata, é probabile che avesse in mente un progetto più che sensato. Per vendere tutto ciò che si possiede ed espatriare in Brasile, ci vuole coraggio, soprattutto quando sai che si tratta di una via senza possibilità di ritorno. Ma con qualche denaro da investire questa scelta di vita é un tentativo possibile e comunque diversa dalla disperazione di tante altre famiglie poverissime.

Ma la sua fu una scelta intelligente, dettata da un’ampia visione del futuro. Così, mentre la maggioranza si dedicava alla produzione di uve e vino in un mondo privo di ogni struttura di base, andò quasi contro corrente nella terra dei Gauchos e nel 1896 fondò la prima metallurgica del sud America. Inizialmente furono piccoli oggetti, attrezzi in rame, stagno, legno e cuoio... portalumi, staffe e briglie per cavalli, pentole e quant’altro poteva servire per la vita della comunità che si andava evolvendo. Poi, con lo sviluppo del commercio di vino con località sempre più lontane, l’azienda crebbe in modo esponenziale, producendo le parti metalliche per i carri ed agendo quasi senza concorrenza ampliò la gamma di prodotti lavorando altri metalli ed arrivando persino all’argento ed all’oro... ma ancora tutto in modo artigianale.

 

            

Dopo Abramo, il figlio Julio (allora ventenne) prese il controllo dell’azienda... ma ormai i tempi erano cambiati, era necessario produrre in modo piu’ industriale, e per far questo servivano macchine costose da far arrivare dall’Europa... ed il denaro non bastava.
Cosi’, mostrando la stessa intelligenza del padre, il ragazzo usò una parte del denaro per acquistare prodotti tipici italiani (salame, formaggio, grappa e vino), caricò il tutto su dei carri, poi su una nave ed infine su una delle poche ferrovie esistenti, fino a raggiungere la ricca São Paulo. Qui vendette tutto, meno il vino (che costituiva la parte maggiore dei prodotti), perché nessuno era disposto a credere alla bontà di un vino prodotto in Brasile. Infine però un negoziante, impietosito da quel giovane ragazzo così determinato ne acquistò un barile da venti litri, dimenticandosi quasi della spesa. Il ragazzo tentò altrove per qualche tempo, ma senza successo. Così tornò dal negoziante, ma questi gli versò un bicchiere di vino importato, esaltandone le qualità rispetto agli improbabili vini brasiliani. Peccato che il vino da lui versato provenisse proprio dalla botte che aveva acquistato dal ragazzo e notato questo finì per acquistare tutto il prodotto.

Con le macchine industriali l’azienda crebbe ancora. Ormai la vicina città di Caxias do Sul si era sviluppata con palazzi di mattoni e cemento e questo porto’ alla costruzione di un grande palazzo come sede della Eberle, che raggiunse i tremila dipendenti con una produzione di oltre ventimila articoli diversi. Una cosa davvero curiosa, visibile ancora oggi (vedi foto) e’ la prima casetta in legno dove abitarono i “Veci”, che é stata innalzata e posta sul tetto del palazzo, come segno di uno sviluppo clamoroso, posto in atto da intelligenza e buona volontà in poco più di un secolo.
E così si arriva a Claudio Eberle, figlio di Julio e nipote di Abramo. Egli ha fatto una scelta diversa... la bellissima natura della terra dei Gauchos e degli Italiani. L’Azienda, ormai divenuta una grandissima impresa, e’ rimasta solo in parte dei fondatori, mentre il signor Claudio ha costruito un grande fazenda presso la cittadina di San Marco (ovviamente abitata dai discendenti italiani). Il posto e’ di una bellezza rara, con colline che permettono la visione di un orizzonte lontanissimo, alberi di specie molto diverse e spesso rare, come la Criuva (che esiste solo qui), ed altre ancora più particolari, sparse su questi morros (colline). Valli profonde con alberi dalla mata atlantica ancora vergine, torrenti, dirupi e cascate che si alternano alle rustiche ma bellissime abitazioni dei Gauchos e dei Fazendeiros, ed a vaste distese erbose dove pascolano in libertà cavalli, mucche, bufali, pecore e Javali’ (cinghiali).
  

Poi il “rito” del chimarraõ (un tè amaro ma gradevole e dalle proprietà rinfrescanti) ed il pasto. Giuro che il churrasco di pecora che il signor Claudio (nostro ospite) ci ha preparato, é la carne migliore che abbia mai assaggiato (peccato che io mangio poco). Poi abbiamo visitato la fazenda e ci é stato offerto il privilegio di assistere alla Cancha de Laço... dove i Gauchos catturano i vitelli, inseguendoli a cavallo con i lazos... il bello che non usano selle, ma solo una fascia che trattiene sia le staffe che una morbida e lanosa pelle di pecora. Ma ancora meglio e’ stato lo spettacolo della “doma” con questi atletici ragazzi che devono ammansire un cavallo (questi cavalli di razza Criola, sono bellissimi)... per domare un cavallo davvero selvaggio l’atleta (come chiamarlo altrimenti ?) e’ caduto numerose volte prima che l’animale si calmasse... il tutto cavalcando “a pelo”.
Un vero e proprio “Far West” italo/gaucho, una serie di emozioni continue, difficili da assorbire in un solo giorno, ma il turista che arriva qui riceverà ospitalità per più tempo e non potrà mai dimenticare un posto così. Ringraziamo il signor Claudio, la moglie Carmen e la bella figlia Marta per la favolosa giornata che hanno voluto e saputo offrirci. Vorrei davvero poter abitare o anche solo ritornare in questi posti incredibili.

                                     

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